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Una storia lunga come il mondo

Memorie ancestrali e lontane mitologie paiono venir evocate nell’opera creativa di Roberto Kusterle che da qualche anno porta avanti discorsi paralleli, racconti differenti, dalle molteplici possibilità di lettura, sospesi tra verità e finzione, serietà ed ironia.
Nelle sue opere traspare il desiderio di immergersi nel mondo della natura,ma al tempo stesso un alterno timore di riconoscere il proprio essere animale, nell’aspirazione e nell’ansia dell’abbandonarsi al puro istinto. Quelli che emergono dai suoi racconti fotografici sono sentimenti contrastanti, eppure insiti nell’animo umano, appartenenti alla stessa storia dell’uomo.
Il mezzo della fotografia risulta in questo percorso,quello più adatto per reinventare una realtà mai esistita se non nell’immaginazione, nel sogno o nella fantasia dell’autore, dando luogo all’ambiguità di una realtà possibile e incredibile, curiosa e paurosa insieme, e forse, proprio per questo, difficile da eludere. Le immagini di Kusterle sono costanti nell’intonazione e nella loro giusta definizione, rivelando una precisa scelta e una specifica procedura seguita nella tecnica di stampa: un bianco e nero dalla calda atmosfera, uno sfondo ombreggiato comune a tutta una serie di fotografie del medesimo formato, con personaggi e temi diversi, legano i singoli racconti in un’unica storia.
L’accento suggerito su alcune parti della figura e, viceversa, ammorbidimento di alcuni particolari, fissano la rappresentazione ad un determinato livello di espressività per cui i dati contenuti sono quelli bastevoli al racconto,privi di ogni altro elemento di disturbo.
L’autore sceglie i suoi personaggi, i protagonisti da mettere in posa davanti al suo obiettivo; li spoglia delle loro più comuni sembianze per rivestirli dell’aura di primitive ed antiche leggende.
Li ricopre di una nuova pelle,di terra, gesso, colore, di chiodi, corna, spine. Nello spazio e nel tempo di una fotografia i volti e i corpi degli interpreti di Kusterle divengono soggetti, luoghi e voci di una sua personale narrazione, fatta di suggestioni, profumi, sorrisi, enigmi.
Animali fantastici, divinità misteriose si alternano sulla scena assieme ad altri personaggi su cui si posano altri animali: tra loro si invertono le parti e i ruoli, si scambiano i sensi e le emozioni, si sperimentano inedite sinestesie.
Unicorni traditi, Giani bifronti, insoliti Ciclopi, Icaro in versione femminile, pseudo Edipi, popolano l’immaginario fantastico dell’autore insieme a malinconiche donne-giraffe, zebre infelici, leopardi afflitti, animali rannicchiati. Il silenzio circonda tutti questi esseri, ansiosi di ritrovare una loro ragione d’essere, un senso del loro stare al mondo, o anche soltanto una parola che li conforti.
Nel loro essere metà uomo e metà animali potrebbero ricordare divinità dell’antico Egitto, o numi di altre remote civiltà; potrebbero al tempo stesso riecheggiare atti sacrificali di culti arcaici o antichi riti sciamanici volti a scoprire le misteriose energie degli animali e le oscure forze della natura, per una forma di salvezza dell’uomo stesso .
I protagonisti dell’opera di Kusterle paiono in effetti prestarsi a misteriosi rituali, alla ricerca di qualche forma di saggezza che passi attraverso la memoria, seppur formato “bricolage”, o attraverso dei semplici ricordi, anche se mostruosamente dolorosi come spine conficcate nella schiena. La lentezza della lumaca, la mutezza del pesce possono essere delle preziose indicazioni e delle ottime guide in questo percorso.
L’immedesimazione nell’animale l’appropriazione di alcuni suoi sensi, di alcuni suoi tratti e caratteristiche possono allora fornire un’ulteriore strada da seguire nella medesima ricerca, credendo nella verità dell’istinto, nella possibilità di un ritorno alla creazione del mondo, in una nuova felice fusione con l’insieme dell’universo. L’uomo-animale, la donna-natura costituiscono quindi dei binomi attraverso i quali riandare alla storia dell’uomo per scoprire il senso dell’esistenza, passando per il mistero dell’origine, l’odore della terra.
Il desiderio di vedere attraverso altri occhi, di sentire attraverso altri sensi corrisponde all’aspirazione di un sapore atavico dove la componente spirituale e animale coincidono senza contraddirsi: un sapere che però pare essersi irrimediabilmente perso nel tempo, sino a diventare irriconoscibile, i cui tentativi per renderlo nuovamente utile e attuale rischiano ora di risultare orribili o ridicoli.
Per questo motivo gli esiti di questa ricerca possono risultare di volta in volta inquietanti, grotteschi, mostruosi o stupefacenti; infelicemente ripiegati su se stessi, ciecamente protesi verso nuovi orizzonti di mondi sommersi. Certo è che da vacui sofismi e pensieri claustrofobici testimoniati da alcuni personaggi maschi,spetta alla figura femminile il privilegio di accedere all’armonia della natura attraverso il potere dell’abbandono, il profumo del suo respiro.
E’ cosi che nell’ultima serie di opere di Roberto Kusterle la donna è la protagonista assoluta, nel perfetto agio con cui indossa copricapi di foglie, nella assoluta e raffinata eleganza con cui veste abiti fatti di fiori, seguendo il ritmo delle stagioni.
Il colore e la natura stessa entrano nella fotografia, unendo realtà a finzione, natura a pensiero.
La fotografia esce dagli ormai stretti limiti della bidimensionalità per assumere qualità plastiche assolutamente inedite, dapprima attraverso la resina che unisce in un’unica fusione immagine e fiori, foglie e figura, quindi divenendo fotoinstallazione dove ancora una volta realtà e finzione, immagine e corpo, foglie e terra paiono giocare a rincorrersi per poi approdare ad una magica armonia, ad un perfetto equilibrio, in assoluta simbiosi. E poco importa dove finisce la realtà e dove inizia la fantasia perché la fantasia regala felicità e fiori a tutto il mondo che le sta attorno. Anche se è autunno possono fiorire le rose, anche laddove la visione è grigia può rinascere il colore.
Infine, figure femminili in un interno: atmosfere belle époque, malinconie dolci amare, fiori tra i capelli e sulle pareti, in un pensiero, in un sentimento, provati ad occhi chiusi.

 

Franca Marri