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Dentro l’immagine: la ricerca fotografica di Roberto Kusterle

Le fotografie di Roberto Kusterle sono il prodotto complesso di un lungo processo di analisi e di ricomposizione. Prima di essere fissato, il punto di osservazione ha sperimentato distanze diverse. La ricerca di spazi espressivi all’interno di materiali naturali differenti è stata tutt’altro che semplice. Il lavoro di riarticolazione, di intreccio e di innesto di un ordine naturale in un altro, è stato pensato e provato a lungo. Anche la cura dei particolari ha richiesto molto tempo. E il risultato è sorprendente, non soltanto per coerenza stilistica, ma anche per i significati e le emozioni che trasmette.
Si potrebbe dire che il punto di partenza della fotografia di Kusterle è rappresentato dal superamento della distinzione tra soggetto e natura. L’uomo appartiene alla natura che osserva edè chiamato a conoscere e a rappresentare ciò di cui fa parte.
Tuttavia, nelle sue fotografie c’è qualcosa di più. L’appartenenza dell’uomo alla natura è fondata sul superamento di un altro limite, ovverosul superamento della distinzione tra organico e inorganico, tra vita e materia, tra corpo e pietra. Infatti, Kusterle tratta i corpi che fotografa innanzitutto con l’occhio dello scultore. La sua fotografia prevede un passaggio preliminare che trasforma la carne in pietra, in terra, in argilla, in corteccia. Ed è un’operazione che da sempre gli consente di usare il corpo come materiale per incisioni e segni, come materiale per nuove scritture e nuove creazioni. Su questa base, che si conferma elemento stilistico di fondo, rispetto ai precedenti cicli di fotografie la ricerca di Kusterle fa qui un deciso passo in avanti. Ora i segnisul corpo-materia non alludono a incomprensibili alfabeti primordiali. Al contrario, i segni diventano incisioni, sezioni che aprono l’accesso a profondità originarie, a possibilità di vita insospettate. Rivelano livelli di vita complessi che attingono sicuramente alle categorie del post-umano e della cosiddetta antropotecnica, ma chevengono poi declinate nel senso di una ricerca genealogica delle radici più essenziali della vita1. è una ricerca che tende a conoscere e a scoprire, piuttosto che a sfruttare opportunità tecniche. Non si tratta di inventare protesi, ma di indagare le dinamiche di una biologia antica, originaria, che precede la distinzione in ordini naturali. E allora lo sguardo di Kusterle scivola, muta eassume l’approccio dell’archeologo. Indaga strati e sedimenti, porta alla luce sistemi di vita latenti. Non trova e non ricostruisce traumi, non risale a rimozioni.
Rintraccia, piuttosto, i sentieri rinsecchiti di una vita irrecuperabile o, perlomeno, così sembra a prima vista. Vasi sanguigni sono diventati sterpaglia per nidi, sistemi circolatori sono diventati pagliericcio riempitivo, colonne vertebrali sporgono come rami, capelli femminili si mutano in piume di uccelli o si pietrificano in splendide conchiglie. Le figure che lo sguardo di Kusterle compone unendo l’umano al regno animale, sembrano creature impagliate, testimonianze irrigidite di una vita perduta. Sembrano pezzi da museo naturale o residui di un’oscura lezione alchemica, di un’enigmatica autopsia. Sembrano reperti eclatanti di una civiltà mitica, il cui ricordo può soltanto spaesare o incuriosire.
In realtà, l’ultima dimensione intravista e percorsa da Kusterle si concentra sui momenti di passaggio tra ordini di vita diversi, sulle pieghe e sui risvolti che traducono un mondo in un altro, sugli strappi o sugli orli di aperture che introducono aprofondità inesplorate. E qui lo sguardo di Kusterle si rivela lo sguardo di un fotografo che ricerca, che esplora, che rifiuta di aderire e uniformarsi a una realtà irrigidita e stereotipata. E, infatti, le sue sezioni rivelano un vuoto.Invece di elementi essenziali, le incisioni scoprono impagliature da mummia, portano alla luce telai e soppalchi da scenografia teatrale. In questo modo, la visione di Kusterle non tende a una realtà in sé oltre l’immagine, oltre il fenomeno. Al centro della sua visionesi colloca l’interrogativo sull’immagine, la domanda sul confine tra riproduzione e creatività, tra ricettività e invenzione. L’oggetto ultimo e decisivo della fotografia di Kusterle è quel margine, quella «scissione», che tiene assieme fuori e dentro, organico e inorganico, essenza e parvenza, vita e immagine2. L’accento cade sullo statuto ontologico della superficie, della pelle, ovvero sulla natura di un’immagine che non è né il prodotto di una pura invenzione da visionario, né semplice riproduzione di una realtà positiva.
Le logiche di elaborazione dell’immagine, il lavoro di costruzione e di assemblaggio dell’oggetto fotografato, restano fedeli ai criteri formali del surrealismo. Peraltro, su questo piano, il digitale offre a Kusterle nuove possibilità di realizzazione senza costringere la forza immaginativa della sua visione. Tuttavia, il riferimento al surrealismo è lontano e ormai superato. La ricerca svolta non affonda nell’onirico, nell’inconscio e nelle profondità della mente inseguendo l’ideale di «ampliare» e alla fine «soppiantare» la realtà3. Al contrario, la ricercadi Kusterle si inoltra in boschi e campagne, rintraccia i segni della ‘metembiosi’ in una natura conosciuta e familiare. Il suo sguardo procede verso l’esterno,prosegue la visione immediata e diretta della realtà bucando e attraversando l’opacità dei corpi e la falsa consistenza della materia, delle superfici, degli spazi pieni. Il suo sguardo oltrepassa le chiare distinzioni in specie e ordini per cogliere i momenti di differenziazione o di trasformazione di un unico principio vitale. D’altra parte,a un surrealismo senza inconscio non rimane altro che sprofondare tra le faglie della natura, portando alla luce forme diverse di vita, diramazioni evolutive impensate, «linee di fuga» tra «serie eterogenee»4 .
Alain Badiou ha mostrato che, laddove l’essere offre all’apparire un «supporto» parziale, «locale», circoscritto e alla fine insicuro, la realtà si rivela e appare in continua «mutazione»5. È quanto avviene nel lavoro di Kusterle.Da un lato saltano i rapporti stabili e lineari tra oggetto e fenomeno, tra la realtà e i modi in cui essa appare. Dall’altro lato, tuttavia, la fotografia sfrutta questa crisi per portare in ‘superficie’ gli estremi, i punti di rottura o i punti-limite dell’immagine. Quel «punctum» che secondo Barthes destabilizza la compattezza dell’immagine fotografica, all’inizio fraintesa come luogo di una mimesis perfetta del reale6, ora diventa il centro stesso della fotografia di Kusterle. Diventa il punto di incontro e di solidarietà tra ordini biologici diversi ma non più opposti e, allo stesso tempo,diventa il luogo di riflessionedella fotografia sulle proprie possibilità, sulle proprie ambizioni e sui propri limiti.
L’intera opera di Kusterle si afferma così come una continua, ripetuta e appassionata ricerca fotografica sulla fotografia stessa.
Kusterle ha sempre composto i suoi oggetti e le sue fotografie alla ricerca di immagini perfette da un punto di vista estetico e formale, e straordinariamente potenti sotto il profilo emotivo. Le sue fotografie non ammettono né improvvisazione né errore, e perseguono da sempre la ricerca di figure archetipiche che possano fissare ed esprimere una classicità contemporanea, figure che rispettino la libertà di ogni singolo individuo e di ogni forma di vita.Ed è per questo che chi osserva questa fotografie, se in un primo momento può sentirsi spaesato, alla fine si sente rassicurato: si sente coinvolto in un’atmosfera familiare, tutt’altro che estraniante, un’atmosfera quasi naturale che gli appartiene da sempre.

Simone Furlani

 

1 Il riferimento qui è a P. Sloterdijk, Dumuß tdeinLebenändern: Über Anthropotechnik, Frankfurt a.M. 2009; Devi cambiare la tua vita, tr. it. di S. Franchini, Raffaello Cortina Editore, Milano 2010.
2 Su questa «scissione» e i suoi significati cfr. H. Belting, Bild-Anthropologie. Entwürfefüreine Bildwissenschaft, Wilhelm Fink Verlag, München 2006 3, pp. 148-154.
3 Su questo ideale della fotografia surrealista cfr. R. Krauss, Le Photographique: Pour une théoriedesécarts, Paris 1990; Teoria e storia della fotografia, ed. it. a cura di E. Grazioli, Bruno Mondadori, Milano 1996.
4 Cfr. G. Deleuze – F. Guattari, Capitalisme et schizophrénie. Vol. 2: Mille Plateaux. Paris, 1980; Mille piani. Capitalismo e schizofrenia, tr. it.di G. Passerone,Castelvecchi, Roma 2006, p. 43.
5 Cfr. A. Badiou, Second manifeste pour la philosophie, Paris 2009; Secondo manifesto per la filosofia, tr. it. a cura di L.Boni, Cronopio, Napoli 2010, p. 51.
6 Cfr. R. Barthes, La chambre claire. Note sur la photographie, Paris 1980; La camera chiara. Nota sulla fotografia, tr. it. a cura di R. Guidieri, Einaudi, Torino 2003, pp. 36 e ss.